01.08.2018

Lugano, 01.08.2018 - Discorso del Consigliere federale Ignazio Cassis in occasione della Festa nazionale 2018 – Fa fede la versione orale

Oratore: Capo del Dipartimento, Ignazio Cassis

Il Consigliere federale Ignazio Cassis parla alla popolazione a Lugano da un podio.
Il Consigliere federale Ignazio Cassis all'occasione del suo discorso della Festa nazionale 2018. © DFAE

1) “Liberi e Svizzeri”

Guardo il Corpo dei volontari luganesi qui schierato e il pensiero torna a 220 anni fa: ai “moti di Lugano” del 1798. L’armata di Napoleone Bonaparte aveva appena sconfitto in Lombardia le truppe reali e pontificie e istaurato nel Nord Italia la Repubblica cisalpina. Ma anche il territorio ticinese era appetitoso, per la sua posizione strategica nell’asse alpino.

La mattina del 15 febbraio 1798 un gruppo di agguerriti Cisalpini partì dunque alla conquista di Lugano. Vennero però fermati dal Corpo dei volontari luganesi al ritmo del motto “Liberi ma Svizzeri”. Un successo reso possibile anche grazie al sostegno del balivo Traxler di Nidvaldo e della Dieta confederale di Aarau.

A ben pensarci, è abbastanza incredibile: ci si era appena liberati dall’oppressore – i balivi della Svizzera centrale – e già si manifestava la volontà di restare assieme all’oppressore; questa volta però da liberi.

Quest’episodio è rappresentativo dell’eterno quesito di noi svizzeri: perché i ticinesi volevano essere svizzeri e non italiani? Perché i romandi non sono francesi e perché gli svizzeri-tedeschi non sono tedeschi?

Ils vaira Svizers eschat vus, amis Rumantschs. E quai malgrà il fat cha ils Rumantschs rapreschaintan be ca 0.8 pertschient da la populaziun Svizra.

Ecco la risposta a questo eterno quesito: perché la Svizzera è una Willensnation. Uno Stato fondato sulla volontà comune di essere padroni in casa propria, di difenderci contro poteri esterni. Che il potere fosse delle casate reali, imperiale o dittatoriale poco importa: essere svizzero significa soprattutto questo, non assoggettarsi al potere di terzi. I moti di Lugano ne sono una testimonianza.

Siamo una Willensnation che giorno dopo giorno continua a chiedersi se davvero vuole stare assieme. Oggi il quesito non si declina più nella lotta armata, per fortuna, ma riaffiora di continuo nei tanti compromessi fra regioni e sensibilità diverse.

Come ha ben detto un mio predecessore in Consiglio federale, Kaspar Villiger: “Eine Willensnation muss wollen”. Siamo un Paese affascinante, perché siamo portati a riflettere su noi stessi. Una sorta di continua psicoterapia nazionale.

2) La storia si ripete

Se osservo la formazione del Ticino e quella della Svizzera ritrovo delle costanti:
- Una genetica avversione al potere centrale
- Un’unità raggiunta faticosamente
- L’influenza, a volte benefica e a volte invadente, di poteri esterni
Torniamo alla storia.

Napoleone Bonaparte era instancabile. Poche settimane dopo la fallita annessione di Lugano alla Repubblica Cisalpina del Nord Italia, il 28 marzo 1798 istaurò ad Aarau la Repubblica Elvetica. La resistenza popolare fu tale che l’esperimento durò solo 5 anni: nel 1803 Napoleone ritrasformò la Svizzera in una Confederazione di Stati, elevando al rango di Cantone anche quel Ticino che pochi anni prima voleva annettere al Nord Italia.

Un Ticino che tuttavia diventava Cantone “contro voglia”, come ha notato lo storico Raffaello Ceschi. Così parlò all’epoca il più alto magistrato delle nostre regioni, il prefetto Giuseppe Franzoni:

“I diversi distretti che devono formare il Canton Ticino non hanno nessun antico legame politico da ristabilire né concordia sufficiente per stabilirne uno, ma piuttosto uno spirito particolaristico insormontabile; di conseguenza questo cantone sarebbe in preda a mille inconvenienti e cadrebbe in un caos pericoloso”.

Significative del clima dell’epoca furono anche le lotte per la designazione della capitale ticinese: Napoleone la volle a Bellinzona, suscitando la costernazione dei Luganesi. Così i cittadini di Lugano nel 1802 si rivolsero alla Dieta federale con queste parole:

“Plutôt que de servir à Bellinzona, l’on quittera sa patrie, quoique avec une peine extrême”.

Dal canto suo il futuro consigliere federale Stefano Franscini suggeriva provocatoriamente di fondare la capitale del neo Cantone sul Monteceneri e di chiamarla Concordia.

Mais il y a aussi d'autres épisodes dignes d’intérêt : En 1811, on a voulu céder le Mendrisiotto au Royaume d'Italie. La Diète fédérale avait protesté, mais avait finalement dû accepter de "jeter une partie de la charge afin de sauver le navire" . Même le Grand Conseil Tessinois consentit – dans l’espoir d’obtenir en échange une compensation territoriale du côté de Luino. Et puis, suite aux premières défaites de Napoléon en Allemagne, tout était rentré dans l’ordre et l'intégrité du territoire avait été sauvée.

Il Ticino – come tutta la Svizzera – nasceva quindi faticosamente, passo dopo passo. L’unione fu alla fine raggiunta, per difendersi dai poteri circostanti, ma anche per farsi valere rispetto a Berna.

Da una Dieta federale con scarsi poteri centrali si passò infatti – nel 1848 – alla Costituzione che inaugurò lo Stato federale. Il Ticino, scettico, respinse sia la Costituzione del 1848 che quella del 1874. Come reazione, tuttavia, serrò gradualmente i ranghi finché trovò una certa stabilità interna. Non senza il contributo di Berna: “Il faut que les tessinois apprennent à gouverner ensemble!”, disse nel 1890 il presidente della Confederazione Louis Ruchonnet, invitando a formare un Governo “non più appartenente a un partito, ma a tutto il paese”.

Fu allora instaurato un Governo misto e poi un meccanismo di elezione proporzionale. Una vera e propria rivoluzione che negli anni successivi rese il nostro Cantone un modello da imitare, una sorta di laboratorio di democrazia consociativa.

Infatti il proporzionalismo fu poi adottato dai legislativi della maggioranza dei Cantoni e nel 1918 anche per il Consiglio nazionale.

3) Il Consiglio federale come collante

Il mix tra forze più conservatrici e federaliste da un lato, e forze più liberali e centralizzatrici dall’altro, si rivelò vincente. Il miracolo della coesistenza tra regioni, culture e cantoni tanto diversi fra loro continua ancora oggi.

Il Consiglio federale è un simbolo di questa coesistenza. Lo è, paradossalmente, perché è debole. Non quanto la Dieta federale ottocentesca, ma comunque debole, se comparato ai governi di Stati centrali.

Deutschland, unser grosser Nachbar im Norden wählt eine grosse Koalition für die Regierung des Landes. Während die Deutschen heute eine GroKo haben, ist in der Schweiz die VollKo – eine Vollkoalition – der Dauerzustand. In einer einzigen Regierung sind damit die wichtigsten politischen Kräfte der Schweiz – von Links bis Rechts – vertreten. Das illustriert die Stärken unseres Landes schön.

Das hat gleichzeitig zur Folge, dass es in unserem Land gar nicht möglich ist, zu Beginn der Legislatur ein richtiges Koalitionsprogramm der Regierung vorzulegen. Jede Woche bringen die Bundesräte ihre Ideen in die Sitzungen rein; raus kommen Kompromisse. Was der Bundesrat in jeder Sitzung macht, ist eine Art politischer «Stress Test», der sich gegenüber den Ansichten des Parlaments und in der Bevölkerung bewähren muss.

Il vero potere resta ai Cantoni. Tanto è vero che la nostra Costituzione elenca esaustivamente i compiti che appartengono alla Confederazione, tutto il resto spetta per default ai Cantoni – l’esatto opposto di quanto accade normalmente in uno Stato nazionale come la Francia o l’Italia.

Un bell’esempio di questa delicatissima ripartizione dei compiti lo si è avuto all’indomani del risicato “no” popolare del 1992 allo SEE. Fu creata allora la Conferenza dei Governi cantonali, chiamata in primis a sostenere il Consiglio federale sulla politica europea (potere poi ribadito nella Costituzione del 1999).

È quello che stiamo facendo quest’estate: consultiamo Cantoni e partner sociali – ovvero la spina dorsale di questo Paese – per capire come procedere nei negoziati con Bruxelles circa il futuro delle nostre relazioni con l’UE.

4) Innenpolitik ist Aussenpolitik

Il Consiglio federale, quindi, è debole quanto basta ma al contempo forte abbastanza per fungere da collante.

In questi primi 9 mesi in Governo ho avuto l’opportunità di visitare ogni angolo della Svizzera: da Appenzello a Basilea, da Ginevra a Bissone, da Lostallo a Svitto.

A volte il mix culturale e linguistico era impressionante: penso per esempio all’idillica Val Müstair dove convivono frontalieri sudtirolesi – italiani che parlano un dialetto tedesco – e indigeni che si esprimono in romancio e svizzero-tedesco. Tuttavia, in quanto minoranza, si sentono rappresentati da un ministro italofono. Le istituzioni – e tra queste il Consiglio federale ¬– sono il kit che tengono avvitato il nostro Paese.

Ho dato la priorità alla Svizzera, in questi primi 9 mesi, perché ho seguito il mio motto: Aussenpolitik ist Innenpolitik. Non può esistere alcuna politica estera che non sia appoggiata all’interno del Paese.

Concedetemi ancora un aneddoto: c’era un tempo in cui il ministro degli Affari esteri nemmeno esisteva: il suo ruolo era assunto dal Presidente di turno. Poi fu creato il ministro degli Affari esteri, però non si voleva che andasse all’estero. Per tre motivi.

1. In generale i viaggi all’estero dei consiglieri federali erano visti con scetticismo, perché considerati contrari allo spirito neutrale e repubblicano del nostro Paese.

2. E poi, vista l’eterogeneità della popolazione, come poteva una sola persona pensare di rappresentare tutta la Svizzera? Pensate che per ovviare a questo intoppo, a un viaggio alla corte di Re Luigi XIV a Parigi nel 1663 la Svizzera contò una delegazione di ben 200 persone, tra rappresentanti della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni.

3. Infine, se c’era una certa comprensione per i viaggi del ministro dell’economia, che portavano risultati concreti al Paese, ce n’era meno per quelli del ministro degli Esteri: a che cosa serviva viaggiare, se in tutto il mondo c’era già una rete di ambasciate?

Una nascita travagliata, quindi, anche quella del ministro degli Affari esteri. Ma questo è lo spirito pragmatico degli Svizzeri. E di questi insegnamenti della storia cerco di ricordarmi ogni giorno, anche oggi che il nostro Paese è ben più presente sulla scena internazionale.

5) Il privilegio

So di non poter rispondere alle esigenze di tutti, ma ogni giorno sono consapevole del privilegio di poter rappresentare la cultura italofona nell’esecutivo di questo Paese, dopo 18 anni di assenza. Vorrei anche fungere da anello di collegamento tra Ticino e Berna, pur cosciente che si tratta un po’ di una contraddizione. La peculiarità ticinese di voler essere a tutti i costi svizzeri, ma al contempo volersi distinguere dal resto del Paese, esiste ancora oggi. Questo dilemma tra essere e non essere continua indipendentemente dalla presenza o no di un ticinese in Consiglio federale.

Ma è proprio questo atteggiamento contradditorio che ha contribuito a creare il Cantone e che caratterizza la nostra cultura. Siamo politicamente inseriti in un Paese di origine celtica, ma siamo geograficamente cisalpini – nonostante i Moti vittoriosi di Lugano. Ne nasce un contrasto a tratti vivace, dal quale scaturisce la nostra creatività. I confederati faticano talvolta a capirci. Il nostro essere stati e continuare a essere un laboratorio di fatti, idee e sviluppi politici è percepito talvolta come un corpo estraneo. Ma proprio di questa cultura, di questa verve, di questa italianità, abbiamo bisogno in Svizzera. Sono onorato di poter provare a dare un contributo in questo senso.

Concludo con le parole che il Segretario di Stato Giovan Battista Pioda pronunciò nel 1848: Svizzeri Italiani, abbiamo una missione da compiere nella Svizzera, quella di essere un punto intermedio di collegamento (…) delle potenze europee; di (…) mantenere vive come l’aere suo frizzante, pure come le limpidi sue fonti, i sentimenti di indipendenza, di libertà, di democrazia (…). Questa è la nostra missione, bella abbastanza per essere degna dell’Italia che rappresentiamo nella Confederazione.

Perciò festeggiamo oggi questo magnifico Paese, la Svizzera, e la ricchezza che la nostra particolare cultura le conferisce!


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Ultima modifica 06.01.2023

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