Svizzera e multilateralismo: cinque storie di pace e diplomazia

Il 24 aprile è la Giornata internazionale del multilateralismo e della diplomazia per la pace. Un titolo che racchiude importanti priorità per la Svizzera, che contribuisce con la sua politica estera a un ordine internazionale pacifico. Lo fa portando il suo valore aggiunto negli organi multilaterali e grazie anche alla Ginevra internazionale. Cinque volti raccontano del loro impegno per la pace. Storie di diplomazia, mediazione e dialogo.

Sulla facciata di Palazzo federale è proiettata la bandiera delle Nazioni Unite.

La proiezione della bandiera delle Nazioni Unite sull'edificio del Parlamento svizzero è simbolo dell'impegno della Svizzera per il multilateralismo. © DFAE

L’attuale pandemia ha reso ancora più chiara l’importanza di una risposta multilaterale alle sfide globali racchiuse nell’Agenda 2030. Buoni uffici, prevenzione e risoluzione dei conflitti, mediazione, promozione del dialogo: sono solo alcuni degli strumenti che la Svizzera mette in gioco per contribuire alla pace e alla sicurezza a livello globale, una priorità della sua politica estera.

La Svizzera costruisce ponti: si legge spesso questa descrizione quando si parla dell’impegno della Svizzera come Stato ospite, come mediatrice o ancora come membro di organizzazioni internazionali. Ma qual è il suo valore aggiunto a livello multilaterale? Cosa fanno gli esperti svizzeri all’interno delle organizzazioni internazionali? Per approfondire il tema, la prima tappa è la Ginevra internazionale, sede di dialoghi per la pace.

Nel prato del Palazzo delle Nazioni Unite Anne-Lise Favre Pilet è in piedi accanto a due agenti ONU e a un cane anti-esplosivi.
Anne-Lise Favre Pilet collabora con gli agenti ONU Popa e David e il cane anti-esplosivi Memphis. Sicurezza è una parola chiave degli incontri di Ginevra. © DFAE

Ginevra: una piattaforma per dialogare

«Vedere i gruppi in conflitto dialogare attorno allo stesso tavolo è già di per sé un successo. A volte, le discussioni permettono passi importanti, come una tregua, la formazione di un governo di transizione, l’apertura di corridoi umanitari o lo scambio di prigionieri, passi che allontanano la guerra per costruire la pace», Anne-Lise Favre Pilet, capo della sezione «Sicurezza e affari generali» della missione svizzera presso le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali a Ginevra.

Ginevra è una piattaforma d’incontro per chi cerca la via del negoziato. La città svizzera sul Lemano ospita infatti regolarmente tornate negoziali. Un esempio sono quelli che hanno portato all’accordo sul nucleare iraniano e i più recenti legati ai conflitti in Siria, Yemen e Libia. La Svizzera offre servizi che vanno dalla mediazione al semplice appoggio logistico. La sicurezza è un aspetto centrale.

Sul tema, Anne-Lise Favre Pilet

Ginevra ha caratteristiche importanti che la rendono il luogo ideale per favorire il dialogo tra gruppi in conflitto: la sua collocazione geografia, nel cuore dell’Europa e a metà strada tra Est e Ovest; la sua lunga tradizione umanitaria, iniziata con il Comitato internazionale della Croce Rossa; o ancora le sue dimensioni, con un aeroporto che dista solo 15 minuti dal Palazzo delle Nazioni. La neutralità della Svizzera è inoltre una garanzia di imparzialità. Ma cosa fa in concreto la Svizzera quando ospita negoziati di pace? «La Svizzera offre servizi che vanno dalla mediazione al semplice appoggio logistico, a dipendenza di quel che chiedono le parti in conflitto. Lo staff che organizza gli incontri è piccolo, agile e veloce; questo ci permette di accogliere negoziati anche con preavvisi brevi» spiega Anne-Lise Favre Pilet, che a Ginevra si occupa in particolare degli aspetti legati alla sicurezza.

La sicurezza è infatti un aspetto centrale in questi incontri e sono molte le questioni da coordinare. «Garantire la sicurezza dei capi di Stato, ministri e altri dignitari, che compiono in media 4'700 visite l’anno a Ginevra, richiede un impegno non indifferente per le forze dell’ordine. Le polizie cantonali, i servizi di sicurezza federali e, a volte, anche l’Esercito collaborano per garantire la protezione delle delegazioni, coordinandosi con i servizi di sicurezza esteri e delle Nazioni Unite» continua. In questo contesto si inserisce il lavoro della sezione «Sicurezza e affari generali» della missione DFAE a Ginevra. «Il nostro ruolo è quello di assicurare il flusso delle informazioni, garantire un buon coordinamento tra le forze svizzere e i loro colleghi esteri, sbloccare eventuali intoppi diplomatici, facilitare l’arrivo a Ginevra delle delegazioni e, a volte, rendere possibili permessi speciali nel caso in cui delle sanzioni, per esempio, impedissero gli spostamenti di uno o dell’altro delegato» spiega Favre-Pilet.

Anne-Lise Favre Pilet ha collaborato a molte delle tornate negoziali che hanno portato all’accordo sul nucleare iraniano e che si sono tenute in Svizzera (a Ginevra, a Montreux e a Losanna). Le sette delegazioni (Iran, Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Germania e Unione europea) erano spesso capitanate dai ministri degli esteri. «Per noi, si è trattato di un’esperienza straordinaria, sull’arco di diversi anni. Ogni negoziato ha in sé qualcosa di magico: vedere i gruppi in conflitto dialogare attorno allo stesso tavolo è già di per sé un successo. A volte, le discussioni permettono passi importanti, come una tregua, la formazione di un governo di transizione, l’apertura di corridoi umanitari o lo scambio di prigionieri, passi che allontanano la guerra per costruire la pace». 

Primo piano di Luca Urech davanti a una cartina della Siria.
Luca Urech segue un Master volto a formare mediatori professionisti. La ricerca del consenso e la sensibilità interculturale sono elementi chiave della professione. © DFAE

La diplomazia per la pace e il ruolo del mediatore

«Con la creazione della “Civil Society Support Room” a Ginevra per la prima volta la società civile viene coinvolta istituzionalmente in un processo di pace dell'ONU. L'impegno della Svizzera in Siria riflette la natura partecipativa della nostra democrazia», Luca Urech, collaboratore diplomatico nella Divisione Pace e diritti umani.

Nel corso degli anni, a Ginevra è emerso un vero e proprio «ecosistema» di attori e istituzioni che lavorano per favorire il processo di pace in Siria. La diplomazia di pace svizzera si adopera affinché i negoziati di Ginevra non siano aperti solo alle parti in conflitto ma anche alla società civile. Grazie alla sua reputazione di mediatore neutrale e imparziale, la Svizzera gode di ampia fiducia. Il DFAE si impegna, in collaborazione con l’ETH di Zurigo, a professionalizzare la diplomazia per la pace. La figura del mediatore si fa così professione.

Sul tema, Luca Urech

Come Stato ospite del processo di pace per la Siria, la Svizzera ha una grande responsabilità, ma può anche cogliere l’opportunità di contribuire a plasmarlo. Per esempio, la diplomazia di pace svizzera si adopera affinché i negoziati di Ginevra non siano aperti solo alle parti in conflitto ma anche ad altri attori della società siriana. «Con questo obiettivo, la Svizzera, insieme all'ONU, ha progettato la “Civil Society Support Room” di Ginevra – spiega Luca Urech – Questo ha dato a più di mille cittadini e organizzazioni siriane una voce nel processo di pace. È la prima volta che la società civile viene coinvolta istituzionalmente in un processo di pace dell'ONU. L'impegno della Svizzera in Siria riflette non da ultimo la natura partecipativa della nostra democrazia».

Come già citato, Ginevra offre diversi vantaggi che favoriscono il dialogo. «La Svizzera permette a tutte le parti un accesso libero e uguale ai colloqui. Sostiene inoltre l'ONU nel coinvolgere la società civile siriana e mette a disposizione dei gruppi di lavoro dell'ONU esperti svizzeri» specifica Luca Urech. Infine, Ginevra riunisce organizzazioni attive per la Siria: si tratta di organizzazioni umanitarie come il CICR o l'Agenzia dell’ONU per i rifugiati e di organismi delle Nazioni Unite come il Consiglio dei diritti umani.

Un altro aspetto importante è la neutralità: la reputazione di mediatore neutrale e imparziale portano la Svizzera a godere spesso della fiducia delle parti in conflitto. La mediazione richiede però diverse qualità e competenze che vanno apprese e costruite. Il Master of Advanced Studies Mediation in Peace Processes (MAS ETH MPP) dell'ETH mira a formare mediatori per la diplomazia di pace. Sostenuto dal DFAE e da altri tre ministeri degli esteri, è l’unico corso di questo tipo rivolto alla professione di mediatore.

Luca Urech, insieme ad altri 20 partecipanti provenienti da vari ministeri degli esteri, dall’ONU, dall’UE e dall’OSCE e dalla società civile, prende parte a questa formazione. Preparare le parti in conflitto ai negoziati, portarle al tavolo delle trattative e pianificare, avviare e condurre processi di mediazione sono i temi trattati nel corso. «Un aspetto chiave di questa professione per me è la capacità del mediatore di avvicinarsi agli attori del conflitto con mente aperta e di vedere le questioni in discussione da più prospettive. Per farlo, bisogna essere dei buoni ascoltatori, essere disposti a cercare il consenso e il compromesso, e avere sensibilità interculturale. Sulla base della nostra esperienza con la democrazia svizzera federalista e plurilingue, queste competenze non sono una novità per molti svizzeri» conclude. 

Natalie Kohli davanti a un elicottero dell’ONU che sosta su un prato verde.
Natalie Kohli è attiva dal 2019 presso la Missione ONU in Colombia. © DFAE

Diplomatici svizzeri presso le Nazioni Unite: tappa in Colombia

«Sono entrata al DFAE poco dopo l'adesione della Svizzera all'ONU e l'ONU è stato il filo conduttore della mia carriera di diplomatica. La Svizzera gode di un'ottima reputazione e di un profilo apprezzato in seno all'ONU grazie al suo ruolo di costruttrice di ponti, al suo coinvolgimento in un'ampia gamma di dossier tematici e come Stato ospite», Natalie Kohli, capo dello Stato maggiore della Missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Colombia (UNVMC).

All’interno delle organizzazioni internazionali, come l’ONU, sono attivi anche diplomatici svizzeri in molteplici funzioni. Al suo interno non rappresentano la Svizzera ma portano con sé valori e la loro esperienza di negoziatori multilaterali, contribuendo all’agenda di pace in vari Paesi nel mondo.

Sul tema, Natalie Kohli

Natalie Kohli è capo, dal maggio del 2019, dello Stato maggiore della Missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Colombia (UNVMC), alle dirette dipendenze del Rappresentante speciale del Segretario Generale. «La missione è stata istituita dal Consiglio di sicurezza nel 2017 per sostenere l'attuazione dello storico accordo di pace tra il Governo della Colombia e la guerriglia delle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia - Ejército del Pueblo)» spiega Natalie Kohli. La Missione è composta da quasi 600 membri e il suo compito è verificare la reintegrazione dei membri delle FARC nella vita politica, economica e sociale, così come l'attuazione di misure di sicurezza e protezione personale e collettiva in quasi tutte le regioni della Colombia. «Come capo dello staff coordino tutti i processi strategici della missione, guidando il dipartimento legale e quello di comunicazione, e garantendo, tra le altre cose, che la missione abbia le risorse necessarie per attuare le sue priorità politiche come da mandato del Consiglio di sicurezza» continua.

Un esempio recente per capire meglio il ruolo di Natalie Kohli sul campo è la visita del Consiglio di sicurezza dell’ONU in Colombia tenutasi nell’estate 2019, per la quale si è occupata dell'organizzazione e della realizzazione. «L'aspetto più saliente del programma è stata la visita alla regione della Valle del Cauca, che è stata duramente colpita dal conflitto e dove gli ex combattenti della guerriglia si stanno reintegrando nella vita civile. Il Consiglio di sicurezza ha potuto visitare progetti agricoli concreti, parlare con i difensori dei diritti umani e vedere come gli ex combattenti partecipano ai processi di riconciliazione con le vittime del conflitto». A seguito di questa visita, il mandato dell’UNVMC è stato nuovamente prolungato. La Colombia ha rappresentato per il Consiglio di sicurezza un esempio positivo di costruzione di una pace duratura.

L’ONU è stato il filo conduttore della carriera diplomatica svizzera di Natalie Kohli. «Come negoziatrice multilaterale di lunga data, sono abituata a proporre compromessi e a promuovere il consenso tra posizioni spesso molto divergenti. Quando ho assunto il mio incarico in Colombia, avevo già una conoscenza approfondita dell'ONU e delle dinamiche politiche tra i suoi Stati membri». 

Poter poi contribuire direttamente, in qualità di cittadina svizzera, all’agenda di pace dell’ONU è un passo gratificante nella carriera di Natalie Kohli. «La mia esperienza nella diplomazia svizzera mi torna utile ogni giorno nel mio ruolo attuale, in cui la mediazione è un compito quotidiano. In particolare, si tratta di promuovere una comprensione comune nella zona di tensione tra la sede centrale di Bogotà e gli uffici sul campo, così come con New York e gli altri programmi delle Nazioni Unite in Colombia». La Svizzera è uno degli Stati membri che seguono e sostengono con grande interesse gli sforzi di riforma del segretariato generale dell'ONU. In questo contesto la parità di genere all’interno del Segretariato Generale delle Nazioni Unite riveste un ruolo importante. «Sto guidando infatti il gruppo di lavoro della Missione che sta implementando l'obiettivo definito dal Segretario Generale delle Nazioni Unite di una parità 50-50 tra donne e uomini a tutti i livelli professionali. Siamo già molto vicini a questo obiettivo in Colombia e abbiamo anche un tasso del 30 per cento di donne tra gli osservatori militari, che è eccezionalmente alto rispetto ad altre missioni di pace» conclude Natalie Kohli. 

Talia Wohl in piedi in una sala parla durante una presentazione.
Il coinvolgimento delle donne nei processi di pace è un tema portante della carriera di Talia Wohl. © DFAE

Donne nei processi di pace

«La grande sfida è quella di affrontare le questioni fondamentali e sistemiche che impediscono ancora oggi alle donne di partecipare in modo efficace ed efficiente alla prevenzione, gestione e risoluzione dei conflitti. L'effettiva inclusione delle donne nei processi di pace richiede soprattutto volontà politica», Talia Wohl, collaboratrice della Divisione Pace e diritti umani e rappresentante della Svizzera presso il WPS Focal Points Network.

Le donne sono attrici chiave per la pace e la sicurezza. Con questa convinzione la Svizzera si impegna a rafforzare il loro ruolo nei processi di pace e partecipa a iniziative correlate intraprese da organismi regionali e internazionali, tra cui l'ONU, l'OSCE e la NATO. Per esempio, su iniziativa del DFAE, alcune diplomatiche e specialiste di sicurezza internazionale svizzere si sono riunite in una rete dedicata alle donne nei processi di pace, «Swiss Women in Peace Processes (SWiPP)». E a proposito di reti, dal 2022 avrà la co-presidenza del Women, Peace and Security Focal Points Network. 

Sul tema, Talia Wohl

Il «Women Peace and Security Focal Points Network» riunisce attualmente 82 Stati membri e organizzazioni internazionali e regionali (per esempio Unione africana, Unione europea, NATO, OSCE). «La rete serve a promuovere lo scambio tecnico, politico e strategico sull'attuazione dell'Agenda Donne, Pace e Sicurezza (Agenda WPS) a livello nazionale e internazionale», spiega Talia Wohl.

Occorre tornare al 2007 per comprendere i primi passi compiuti dalla Svizzera a favore dell’inclusione delle donne nei processi di pace. È infatti in quell’anno che la Svizzera è tra i primi Paesi ad adottare un piano d'azione nazionale (PAN 1325) per attuare la risoluzione 1325 delle Nazioni Unite su «Donne, pace e sicurezza». «La Svizzera sta attuando il suo quarto PAN 1325 e può vantare un impegno di lunga data nel promuovere l'attuazione dell'agenda WPS attraverso programmi bilaterali in vari contesti nazionali e a livello multilaterale» specifica Talia Wohl. L’esperta svizzera è entrata a far parte della rete WPS nel 2020, in piena pandemia. La crisi non ha fermato la rete, che ha continuato a incontrarsi anche per via digitale.

La presidenza è annuale e a rotazione: nel 2022 la Svizzera la deterrà insieme al Sud Africa. «La Svizzera coglierà l’occasione dell'anno di presidenza per portare avanti le questioni prioritarie dell'agenda donne, pace e sicurezza. Tra le priorità tematiche troviamo per esempio la partecipazione effettiva, ugualitaria ed efficiente delle donne nella prevenzione dei conflitti e nei processi di pace, il coinvolgimento della società civile e la protezione contro la violenza sessuale e di genere nei contesti di conflitto e umanitari».

Precedentemente, Talia Wohl è stata attiva presso l’OSCE in qualità di esperta svizzera (nell’ambito di un cosiddetto secondment) presso il Conflict Prevention Centre come Mediation Support Officer. «Gli esperti svizzeri sono molto apprezzati. Portano valori democratici, neutralità e comprensione dei principi della mediazione». Il Team di mediazione offre supporto e consulenza su misura ai rappresentanti dell'OSCE che sono coinvolti in un processo di mediazione o di dialogo. Una delle sfide in questi processi è la partecipazione effettiva, ugualitaria ed efficiente delle donne. «Nei processi negoziali ufficiali dell'OSCE, le donne rappresentano solo una piccola minoranza. Per esempio, dagli anni 1990, solo tre degli oltre 50 mediatori dell'OSCE sono donne, due delle quali svizzere» spiega.

Nell’area OSCE, le donne tendono ad essere più coinvolte nelle attività di costruzione della pace a livello locale, che ha poco o nulla a che fare con i negoziati ufficiali. Questo ha spinto Talia Wohl a sviluppare, in collaborazione con il Team di mediazione e con la sezione di genere dell'OSCE, un toolkit sulla partecipazione delle donne nei processi di pace, che è stato poi lanciato nel 2019. «Durante i due anni di sviluppo del progetto, abbiamo identificato misure pratiche in tre aree: favorire la partecipazione diretta delle donne al tavolo dei negoziati; collegare le iniziative di pace informali ai processi di negoziazione formale; e incorporare una prospettiva di genere nei negoziati». 

Grandi traguardi, molte le sfide per il futuro. «Occorre affrontare le questioni fondamentali e sistemiche che impediscono alle donne di partecipare in modo efficace ed efficiente alla prevenzione, gestione e risoluzione dei conflitti. L'effettiva inclusione delle donne nei processi di pace richiede soprattutto la volontà politica» conclude l’esperta. 

Claudia Marti parla da un pulpito durante una conferenza in Libia.
Claudia Marti ha lavorato per 13 anni nella Divisione pace e diritti umani del DFAE. L'esperienza che ha acquisito come Human Security Advisor in Colombia e in Libia le è di grande aiuto nel suo lavoro attuale. © DFAE

Prevenzione dei conflitti: il ruolo del Peace and Development Advisor

«Un aspetto centrale del ruolo del Peace and Development Advisor è il supporto alla prevenzione dei conflitti a livello nazionale, alla costruzione della pace e alle iniziative di mantenimento della pace portate avanti da attori nazionali», Claudia Marti, Peace and Development Advisor, Office of the UN Resident Coordintor in Bolivia.

La cooperazione internazionale della Svizzera contribuisce alla prevenzione dei conflitti e alla costruzione della pace negli Stati fragili. Le fragilità di uno Stato sono caratterizzate dall’incapacità del governo di garantire la sicurezza dei cittadini e di assicurare i servizi pubblici di base, oltre che dall’assenza di una relazione costruttiva tra governo e popolazione. La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) è attiva su diversi fronti a livello multilaterale e collabora con attori importanti come il sistema delle Nazioni Unite e il Gruppo della Banca mondiale. Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) svolge un ruolo centrale e catalizzatore nel rafforzare la capacità dell'ONU di prevenire i conflitti e affrontare le fragilità. Per esempio – in collaborazione con il Dipartimento per gli affari politici e di peacebuilding (DPPA) – sostiene il pool di Peace and Development Advisors (PDAs). I PDAs sono attivi nei Paesi più fragili per consigliare e sostenere i Governi e il sistema delle Nazioni Unite sul campo.

Sul tema, Claudia Marti

Dopo aver lavorato per tredici anni nella Divisione pace e diritti umani del DFAE, Claudia Marti ha deciso di candidarsi come PDA. In tutto il mondo si calcolano 108 posizioni di questo tipo, 59 di questi internazionali. Cosa fanno i PDA? «I PDA consigliano i Resident Coordinator e l'intero Country Team dell’ONU sulla prevenzione dei conflitti, la pace duratura e le strategie e i programmi di costruzione della pace. Lavorano con il DPPA e l'UNDP, assicurando così lo scambio e la comunicazione tra gli aspetti politici e di sviluppo. Un aspetto centrale del ruolo di un PDA è il supporto alla prevenzione dei conflitti a livello nazionale, alla costruzione della pace e alle iniziative di mantenimento della pace portate avanti da attori nazionali. Questa “ownership” nazionale è l'obiettivo principale del programma congiunto UNDP-DPPA e un principio chiave del lavoro di sviluppo dell'ONU» spiega Claudia Marti.

In Bolivia, nel 2019 l'ONU ha firmato e dato il via a un programma di consolidamento della pace con il governo, la cui seconda fase è iniziata nel dicembre 2020. L'ONU fornisce un sostegno concreto in tre aree: elezioni; diritti umani e di genere; processi di dialogo e riconciliazione. Claudia Marti è attiva in particolarmente in attività legate alla terza area. Workshops sul tema Conflict Sensitivity per il Country Team dell'ONU e per i partner nazionali, sostegno ai processi di dialogo, contributo all'iniziativa regionale sulla «Sicurezza climatica», produzione di analisi politiche e relative ai conflitti: queste sono solo alcune delle attività che Claudia Marti svolge sul campo, anche in modalità digitale vista la pandemia da COVID-19.

L'esperienza acquisita al DFAE come Human Security Advisor in Colombia e in Libia le è di aiuto nell’attuale lavoro. «Ho potuto acquisire una solida conoscenza tecnica nella costruzione della pace, nella prevenzione dei conflitti e nel trattamento del passato. L'esperienza pratica acquisita lavorando con gli attori della società civile e i rappresentanti del governo mi è ancora oggi di aiuto. In Colombia, ho sostenuto per esempio l'attuazione di un programma di costruzione della pace che ha permesso di gettare ponti tra le organizzazioni di base e gli enti governativi, un'esperienza che mi ha arricchito molto. Inoltre, la Svizzera svolge spesso il ruolo di “coordinatrice” all'estero: come piccolo attore, porta spesso idee innovative, e questo aspetto è certamente un vantaggio in una grande organizzazione come l'ONU», spiega.

Prima di entrare al DFAE, Claudia Marti ha lavorato in organizzazioni non governative e semi-governative e ha acquisito esperienza lavorando a stretto contatto con i difensori dei diritti umani e le organizzazioni di base. «Ho potuto supportare le organizzazioni nella loro capacità di formulare proposte politiche e implementarle» conclude. 

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