Gentili Signore e Signori,
vorrei innanzitutto ringraziare la Comunità di Sant’Egidio per aver organizzato questo congresso internazionale, a cui prendono parte Paesi con posizioni diverse sulla pena di morte.
Desidero anche esprimere la mia gratitudine a ciascuna e ciascuno di voi per la vostra partecipazione e per la vostra disponibilità a dialogare.
In un mondo sempre più polarizzato, tra crisi e conflitti che si moltiplicano, un evento aggregativo come questo è più necessario che mai.
Il dialogo aperto è la pietra angolare su cui possiamo costruire comprensione reciproca e progresso.
Stimati partecipanti,
Nell’ultimo decennio sono stati compiuti progressi significativi: oggi si contano 113 Paesi abolizionisti, rispetto ai 55 di 30 anni fa. Tuttavia il numero di esecuzioni e di condanne a morte non è diminuito.
Ciò significa
1) in primo luogo, che una minoranza sempre più ridotta di Paesi applica ancora ampiamente la pena di morte
2) e in secondo luogo, che il progresso non è irreversibile né autosufficiente, ma dev’essere sostenuto da volontà e azioni politiche concrete.
La scorsa settimana, ben 131 Stati si sono espressi a favore della risoluzione sulla moratoria universale della pena di morte, presso la Terza Commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un record per un’iniziativa di questo tenore.
Questo segnale forte, lanciato a livello multilaterale, mi ha fatto ben sperare nelle nostre capacità di compiere insieme un passo significativo verso un mondo senza pena capitale.
Qual è la posizione della Svizzera?
L’estate scorsa, il mio Ministero ha presentato un nuovo piano d’azione sull’abolizione universale della pena di morte, che coprirà i prossimi tre anni fino al 2027. Questo documento programmatico riassume gli sforzi diplomatici della Svizzera tesi a limitare l’applicazione della pena capitale nel mondo, sostenendo al contempo lo slancio verso l’abolizione universale.
Per raggiungere questo obiettivo occorre la collaborazione di tutti gli Stati, compresi quelli che ancora applicano la pena capitale.
Gentili Signore e Signori,
il dialogo non è una strada a senso unico. Sono qui per ascoltare le preoccupazioni e le complesse circostanze che inducono alcuni Paesi a mantenere la pena capitale.
Spesso i loro timori sono radicati in motivazioni socioculturali, ideologiche o religiose. Non voglio addentrarmi in una discussione filosofica sulla rilevanza o sulla validità di queste motivazioni. Tuttavia, è essenziale notare che la questione è strettamente correlata alla moralità.
Discutendo con rappresentanti di Stati che mantengono la pena capitale, ho constatato che le argomentazioni più diffuse, come il rischio di giustiziare persone innocenti o di applicare tale pena in maniera discriminatoria, spesso non sono le più persuasive.
Sebbene queste argomentazioni siano essenziali per guidare le nostre azioni e plasmare i nostri sistemi giuridici – come per esempio quello svizzero – sono profondamente convinto che dobbiamo ripensare il nostro approccio insieme agli Stati che hanno una cultura storicamente e profondamente radicata nell’applicazione della pena capitale.
Dobbiamo dimostrare loro che abbandonare questa pratica serve anche i loro interessi.
L’assistenza giudiziaria internazionale illustra perfettamente questo potenziale.
La Svizzera, come la maggior parte dei Paesi abolizionisti, non estrada verso Paesi che applicano la pena capitale le persone passibili di questa pena. È il caso per esempio delle persone tossicodipendenti, che rappresentano circa il 40 per cento delle vittime delle esecuzioni registrate a livello mondiale.
Nell’ambito dei reati legati a sostanze stupefacenti, l’abolizione della pena di morte consentirebbe non solo di rafforzare la cooperazione internazionale in materia giudiziaria, ma anche di combattere più efficacemente il traffico internazionale di stupefacenti coinvolgendo tutti gli Stati interessati, nel rispetto dei diritti umani fondamentali.
Signore e Signori,
il filosofo e giurista italiano Cesare Beccaria, nella sua importante opera «Dei delitti e delle pene», nel 1764, diceva che è più importante prevenire che punire, e che una punizione irreversibile e violenta non deve essere esercitata dal legislatore.
Beccaria è stato uno dei primi a teorizzare l’abolizione della pena di morte come principio fondamentale della giustizia moderna.
A distanza di 260 anni, spero che l’incontro di oggi ci avvicini ulteriormente a questa idea di giustizia, in un mondo libero dalla pena capitale.
Vi ringrazio.